Si è chiuso ieri in Cornovaglia il vertice G7, al termine del quale abbiamo potuto ascoltare le parole del nostro premier Mario Draghi. Focus sul rapporto con la Cina, sui rapporti commerciali e sui diritti umani, argomento con cui abbiamo avuto il piacere di parlare con il nostro ospite Roberto Menotti.
Siamo in compagnia di Roberto Menotti, buongiorno e ben ritrovato, vorrei partire con tutto ciò che è accaduto al G7. Secondo lei Joe Biden è riuscito ad utilizzare le proprie forze per opporsi alla Cina, perché naturalmente ha cercato in ogni modo di colpire la Cina anche se poi il comunicato finale è stato più leggero rispetto a quello previsto.
Beh direi di si, ha raggiunto il suo obiettivo principale che secondo me non era tanto colpire la Cina e metterla in un angolo, almeno in questa prima fase, ma era ricostruire il metodo multilaterale di collaborazione con i grandi alleati quindi con le grandi democrazie liberali di mercato per fronteggiare nuove sfide, tra cui quella cinese, quindi in un’ottica più realistica è come se Biden sapesse che avrebbe dovuto accettare dei compromessi, però penso che il risultato sia completamente positivo. In particolare mi ha colpito questa tendenza di tutti i leader del G7 non tanto a sottolineare l’aspetto ideologico, ma l’aspetto della performance, cioè le democrazie liberali di mercato si devono mostrare più efficienti nel fare quello che devono fare rispetto alla Cina o alla Russia, vale per i vaccini, per la transizione verde e vale per il commercio internazionale. Se si riesce a creare una grande alternativa che sia meglio della Belt and Road, allora anche i paesi in via di sviluppo, comprenderanno che i loro interessi dettano una linea diversa.
Tra poco andremo a vedere anche come potrebbero essere le future relazioni tra Italia e Cina perché draghi sembra avere un’idea completamente diversa rispetto al precedente governo, ma intanto le chiedo come vede le relazioni tra Stati Uniti e la Cina in questo caso perché non sembra per il momento che la nuova amministrazione abbia portato dei cambiamenti nei confronti della Repubblica popolare.
Direi che un cambiamento e un nuovo approccio c’è stato, per il fatto che Biden è pronto a collaborare con altri per contenere e frenare le ambizioni cinesi e questo è un cambiamento, poi è vero che c’è una certa continuità di fondo tra questo e i governi precedenti, non solo quello di Trump, ma anche quello di Obama nel senso di vedere nella Cina un grande avversario, in termini geopolitici, militari, delle tecnologie strategiche e naturalmente è una potenza che ha dei valori diversi da quelli occidentali quindi questi problemi di fondo rimangono gli stessi, ma credo che Biden stia adottando dei modi diversi per affrontarli, il che mette una certa pressione agli avversari, come anche l’Italia, però se esiste un’iniziativa alternativa del G7, del mondo Occidentale con un forte sostegno americano, allora a quel punto l’Italia è davvero costretta a scegliere e si comprende molto meglio l’atteggiamento e le parole del primo ministro Draghi.
Le volevo chiedere anche un parere sulla risposta immediata della Cina riguardo al G7, accusandolo di manipolazione politica e interferenza nei propri affari interni alla luce della posizione espressa domenica sulla libertà dei diritti umani, la Cina ha anche detto che un gruppo di sette paesi non può decidere le sorti di tutto il mondo, è così attualmente? Perché in passato invece era proprio così, il G7 decideva un po’ per tutti, ora sembra che la situazione sia cambiata e anche di tanto.
I cinesi hanno ragione da un certo punto di vista, è vero che il mondo non può essere governato dal G7, ma nemmeno dal G8 se fosse reintegrata la Russia, è esattamente il motivo per cui quando scoppiò la crisi nel 2008 fu di fatto attivato il G20 che esisteva ma in maniera lasca, quindi il G20 di cui la Cina fa parte, è la risposta a questa giusta osservazione che peraltro fecero anche altri, come l’India e il Brasile e le altre potenze emergenti. Dove naturalmente la Cina fa i suoi interessi, in maniera cinica, è da un’altra parte, la Cina sa benissimo che alcuni impegni che ha preso o che prenderà con il G20, sono molto complicati da rispettare, perché la Cina di fatto agisce in un contesto di non market policies, che è il termine proprio utilizzato nel comunicato del G7. La Cina non accetterà mai che un contesto di cui non fa parte, possa dettare delle regole globali, quindi sceglierà sempre un formato come il G20 per farne parte, dove si sente più a suo agio ovviamente perché ne fa parte a pieno titolo, ma credo che la Cina sia anche interessata ad accordi bilaterali che farà nel medio-lungo periodo, sia con gli Stati Uniti da un lato, che con l’Unione Europea dall’altro, quello è un contesto in cui si sente più a suo agio, quindi vedremo un buon livello di diplomazia bilaterale nei prossimi mesi affiancato al G20.
Un’altra frase che il premier Mario Draghi ha citato è stata “contro le autocrazie” poi lui si è espresso anche nei confronti di Erdogan, il presidente della Turchia e le sue posizioni sono molto chiare, però non è mai stata menzionata la posizione dell’Italia nei confronti della Via della Seta lanciata dalla Cina, di cui Luigi di Maio ha firmato il memorandum of understanding nel 2019 che riguarda tre tematiche in particolare, ricordiamole sono commercio elettronico, start up e future collaborazioni al livello di commercio con la repubblica popolare cinese. Come vedi in futuro il rapporto tra Italia e Cina? Perché per il precedente governo la Cina era un punto fermo, lo è tutt’oggi o meno?
Credo che rimanga un partner molto importante, ma credo che Draghi abbia anche ragione, è necessario un parziale riequilibro del rapporto bilaterale, l’Italia secondo me si è espressa in modo eccesiva con quel memorandum of understanding del 2019, dove peraltro non ha ottenuto alcun vantaggio sostanziale, lo ha fatto in modo ingenuo, cedendo alla pressione di Pechino per un accordo bilaterale, ma il punto fondamentale è che l’Italia dovrebbe considerare il suo rapporto con la Cina in modo meno bilaterale, inteso come Roma Pechino e molto più bilaterale, inteso come Pechino-Bruxelles, perché nell’ottica del rapporto con l’Unione Europea, l’Italia può giocare le sue carte e far valore la sua giusta pressione per mantenere degli stretti rapporti commerciali con la Cina, però senza esporsi eccessivamente e oltre tutto in un rapporto bilaterale come quello Roma Pechino io penso che abbiamo solo da perdere soprattutto per le dimensioni della controparte, quindi mi sembra che sia prudente e anche inevitabile questa correzione di rotto effettuata da Draghi. Rimarrà la partnership cinese ma credo con un’ottica meno strettamente italiana.
Ho intervistato proprio qualche settimana fa Anu Bradford, che ha scritto un libro “The Brussels effect” in cui dice che l’Unione europea è tutt’ora una potenza, lei condivide questa affermazione? Perché questa intervista ha scatenato diversi pareri, alcuni che credono nella potenza di Bruxelles, altri no, volevo capire il suo parere sul tema.
Io credo che l’UE sia stata vittima per molti anni di un equivoco, anche tutta la discussione ad esempio su, e questo interessante rispetto al vertice NATO di oggi, rispetto all’autonomia strategica dell’Unione Europea che è sostanzialmente l’autonomia strategica del Stati Uniti. Ecco il problema secondo me, è mal posto, cioè l’UE non deve diventare una grande potenza a tutti gli effetti, può anche diventare un importantissimo attore internazionale in alcuni settori, facendo ricorso a coalizioni e alleanza in altri settori. Per esempio, mantenendo uno stretto rapporto con gli Stati Uniti e la NATO nel settore sicurezza e difesa. Penso che si possa anche essere una potenza con alcuni punti di forza e altri di relativa debolezza, questo non ci deve impedire e fermare dal perseguire i nostri interessi. È chiaro sul piano del commercio internazionale, delle infrastrutture, alcune tecnologie, l’UE è già una grande potenza e non ha nulla da invidiare alle altre, il problema è che poi ha delle carenze da alcuni punti di vista, come i processi decisionali interni, perché si tratta di una struttura molto complicata. Il discorso è interessante ma bisogna affrontarlo con un’ottica non unitaria, non è necessario che l’UE sia una potenza a tutti gli effetti, per essere una potenza efficiente, utile e importante per tutti i suoi paesi membri.
Ecco invece, ultima domanda, gli attacchi hacker saranno più presenti nel futuro? È questa l’arma adesso?
Beh è un’arma molto preoccupante, un problema serio di cui si sono resi conto tutti, di cui in parte si è parlato nel G7 in misura soprattutto alla Russia e alla Cina. Io credo che in alcuni casi non siano nemmeno i governi a controllare chi opera in questo senso, trovo però anche un elemento di ottimismo per esempio nella reazione dell’FBI nei recenti casi contro per esempio importanti infrastrutture energetiche, è un settore in cui è sempre in atto una corsa tra le autorità, non credo che sia una battaglia persa.
Le faccio l’ultima domanda sul suo libro “decidere come le società liberali affrontano la complessità”, uscito qualche mese fa, di cosa parla e che messaggio vorrebbe inviare a chi legge il suo libro?
Innanzitutto grazie dell’opportunità, il messaggio è di ottimismo rispetto al futuro della democrazia liberale di mercato, quindi è molto centrato rispetto anche ai temi che abbiamo appena trattato. Le società liberali sono sotto pressioni, hanno dei limiti e dobbiamo essere molto esigenti come cittadini, ma rimangono delle strutture efficienti e creative, le società liberali non temono il confronto, non temono il conflitto se regolato e pacifico, credo che le discussioni che abbiamo sentito in questi giorni dicano esattamente questo, ovvero dobbiamo essere chiari sui nostri valori di fondo, ma una volta stabiliti questi dobbiamo avere la forza e il coraggio di dialogare con chiunque, perché abbiamo bisogno anche di paesi autocratici e non democratici, ma questo non vuol dire che dobbiamo imitarli, dobbiamo fronteggiarli con coraggio.